The Rider | visioni

Chloé Zhao, qui al suo secondo film, poco prima di dirigere Nomadland che le frutterà Oscar e Mostra del cinema di Venezia e poco dopo il suo primo film Songs that my brother though me. Nelle riprese di quest'ultimo, conosce Brady Jandreau e la comunità nella quale vive. La Zhao raccoglie quelle persone e scrive un film che ricalca la storia vera del cowboy, della sua disabilità.

disabilità

il rapporto con la disabilità è centrale. Lane, amico di Brady, rimasto disabile dopo un incidente analogo, è una delle chiavi del film. Brady aiuta l'amico, nella riabilitazione, anche psicologica ma, nello splendido finale, Brady riceve anche aiuto dall'amico: la rievocazione della cavalcata, ormai impossibile per entrambi è ora un bel sogno che allevia entrambi.

l'eroe non segue le proprie passioni

Brady alla fine sa trasformare una passione e uno status sociale (fare rodeo ai massimi livelli) in qualcosa d'altro: aiutare la propria famiglia; aiutare l'amico. "Quando un cavallo s'azzoppa deve essere abbattuto; quando un essere umano diventa disabile dovrebbe essere abbattuto". Ma invece no. Brady capisce che l'uomo ha un grande vantaggio: può cambiare; può ricostruire; può riconfigurare il proprio essere e il proprio agire. E proprio questo Brady fa. Segui la tua passione, gli viene detto. E la passione è il rodeo ma non lo può più fare, deve riconfigurarsi perché ci sono cose più importanti delle proprie passioni.

lo spiegone al contrario

Ma prima di ricevere l'illuminazione del finale Brady ci regala uno spiegone al contrario. "Dio ha dato a tutti uno scopo: il cavallo è fatto per scorrazzare nelle praterie; il cowboy è fatto per cavalcare". E Brady quindi parte per cavalcare anche se sa che sarebbe un mezzo suicidio. Dopo lo spiegone ci immaginiamo tutti che Brady cavalcherà con due possibili finali: morire o trionfare sconfiggendo la menomazione. Ma invece lo spiegone era un trucco. Brady sceglierà di non cavalcare.

campi lunghi e il senso della vita

La macchina da presa è addosso ai protagonisti del film e delle storie che Zhao racconta in The rider ma ogni tanto prende una pausa. Zhao allarga in campi lunghi e lunghissimi, spesso all'alba o al tramonto e ci regala scorci del Dakota, come in Nomadland. Ma qui più che nel film premio Oscar, i campi lunghi ci sembrano un altro personaggio. La natura, il contesto, che osserva piccoli uomini dimenarsi tra canne, rodei e giochi d'azzardo. Dove sembra non esserci salvezza se non fosse per Brady, l'eroe, che annulla le sue passioni per supportare la sorella e l'amico Lane, trovando un senso della vita oltre se stessi.

Brady siamo noi

Più che in Nomadland forse più maturo e meglio recitato, The rider ha una idea più universale. Brady siamo noi, tutti noi, che ci arrabattiamo tra quello che vorremmo essere e quello che siamo e cerchiamo di capire cosa dovremmo essere visto che non possiamo essere quello che vorremmo essere.


The Rider (The rider - il sogno di un cowboy), scritto e diretto da Chloé Zhao, Usa 2017, 105'